Sentenza Cassazione: La casella PEC piena è una “svista” inscusabile dell’avvocato

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 novembre – 1 dicembre 2017, n. 54141
Presidente Fiale – Relatore Corbetta

Ritenuto in fatto

1. Con l’indicata ordinanza, il tribunale di Livorno, in funzione del giudice del riesame, confermava l’ordinanza emessa dal g.i.p. del tribunale di Livorno in data 31/05/2017, di convalida del sequestro preventivo, operato in via d’urgenza della p.g., su una porzione di circa 50 mq. di area demaniale marittima, precedentemente costituita da scogli affioranti e sommersi, al momento attuale, invece, lastricata con gettata di calcestruzzo e ciottoli/sassi asportati dall’arenile limitrofo, antistante l’hotel (…), in (…), di proprietà della s.r.l. M. , di cui la G. (moglie del M. ) è legale rappresentante, il tutto ricadente all’interno di area soggetta a vincolo paesaggis tico, imposto con decreto ministeriale del 22/09/1957.
2. Avverso l’indicato provvedimento propongono ricorso per cassazione i due indagati, tramite il difensore di fiducia, affidato ad un unico motivo. I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., in quanto al difensore dei due indagati non è mai pervenuto l’avviso di fissazione camerale, celebrata avanti al tribunale di Livorno, ciò che integra una nullità assoluta, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la quale travolge il provvedimento in esame.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo.
2. Il difensore si duole del mancato ricevimento, in proprio e quale domiciliatario dei propri assistiti, dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale fissata avanti al tribunale di Livorno per il giorno 29/06/2017.
Sulla base deg li atti, cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza propostale, emerge che le tre notifiche all’avv. A. B. (in proprio e quale difensore di fiducia dei due indagati) dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale avanti al tribunale di Livorno per il giorno 29/06/2017, effettuate tutte tramite posta elettronica certificata (d’ora in poi PEC) all’indirizzo (omissis), furono trasmesse il giorno 21/06/2017 (ore 11.05 la prima, ore 11.06 le altre due) con esito “mancata ricezione”. Da successivi accertamenti sugli avvisi estrapolati dal sistema delle notifiche telematiche, di cui si dà conto nella nota della cancelleria del tribunale di Livorno in data 26/10/2017, è emerso che la “mancata ricezione”, in tutti e tre i casi, è da individuarsi nella “casella piena” del destinatario, che ciò ha comportato il rifiuto del messaggio da parte del sistema.
3. Va premesso che la PEC è il sistema che, per espressa previsione di legge (d.P.R. 11 Febbraio 2005, n. 68), consente di inviare e-mail con valore legale equiparato a una raccomandata con ricevuta di ritorno; in ambito penale, essa è espressamente prevista, dall’art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito da I. legge 17 dicembre 2012, n. 221, “per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p., e art. 151 c.p.p., comma 2”.
Il sistema di posta certificata, grazie ai protocolli di sicurezza utilizzati, è in grado di garantire la certezza del contenuto, non rendendo possibili modifiche al messaggio, sia per quanto riguarda i contenuti che eventuali allegati.
Senza entrare nella compiuta disamina della disciplina prevista per la PEC, ai fini della vicenda in esame è sufficiente premettere che il termine “certificata” si riferisce al fatto che il g estore del servizio del mittente rilascia a costui “la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata” (art. 6, comma 1, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, recante “Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della L. 16 gennaio 2003, n. 3). Allo stesso modo, “il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all’indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna” (art. 6, comma 2), la quale, per espressa previsione normativa, “fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione”.
Nel caso in cui, invece, il messaggio di posta elettronica certificata non risulti consegnabile, “il gestore comunica al mittente, entro le ventiquattro ore successive all’invio, la mancata consegna tramite un avviso secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17” (art. 8). In un’evenienza del genere – ossia nel caso in cui il messaggio inviato tramite PEC non risulti consegnabile – la disciplina muta a seconda della causa della mancata consegna, se, cioè, essa sia imputabile o meno al destinatario.
Va, infatti, premesso che l’art. 20 del d.m. 21/02/2011 n. 44 (recante “Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4 , commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”), disciplina i “requisiti della casella di PEC del soggetto abilitato esterno”, imponendo a costui una serie di obblighi finalizzati a garantire il corretto funzionamento della casella di PEC e, quindi, la regolare ricezione dei messaggi di posta elettronica. In particolare, il “soggetto abilitato esterno” – ossia, nel caso che ci occupa, il difensore della parte privata – ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. m) d.m. n. 44 del 2011: a) “è tenuto a dotare il terminale informatico utilizzato di software idoneo a verificare l’assenza di virus informatici per ogni messaggio in arrivo e in partenza e di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati” (comma 2); b) “è tenuto a conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasme ssi al dominio giustizia” (comma 3); c) è tenuto a munirsi di una casella di posta elettronica certificata che “deve disporre di uno spazio disco minimo definito nelle specifiche tecniche di cui all’articolo 34” (comma 4); d) “è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione” (comma 5). Di conseguenza, la mancata consegna è imputabile al destinatario nel caso in cui costui, venendo meno agli obblighi previsti dall’art. 20 d.m. n. 44 del 2011, non si doti dei necessari strumenti informatici ovvero non ne verifichi l’efficienza.
Orbene, nel primo caso – ossia quando la trasmissione via PEC non vada a buon fine per causa imputabile al destinatario – trova applicazione l’art. 16, comma 6, d.l. n. 179 d el 2012, secondo cui le notificazioni e le comunicazioni “sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria”. Peraltro, nonostante la mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Ai sensi dell’art. 16, comma 4, d.m. n. 44 del 2011, infatti, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario, contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”. La notifica depositata in cancelleria è a disposizione dell’avvocato, il quale, per estrarne copia, ai sensi dell’art. 40, comma 1-ter, d.P.R. n. 115 del 2002, deve pagare il decuplo dei diritti normalmente dovuti.
Diversa è invece l’ipotesi in cui la notificazione non si è potuta effettuare telematicamente per causa non imputabile al destinatario; in tal caso, ai sensi del comma 8 del citato art. 16, “si applicano gli articoli 148 e seguente del codice di procedura penale” e la notificazione, pertanto, avviene nelle forme ordinarie previste dal codice di rito.
In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: “Deve ritenersi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, d.l. n. 179 del 2012, nel caso in cui la mancata consegna del messaggio di PEC sia imputabile al destinatario, ciò che si verifica quando il destinatario medesimo, venendo meno agli obblighi previsti dall’art. 20 d.m. n. 44 del 2011, non si doti dei necessari strumenti informatici ovvero non ne verifichi l’efficienza”.
4. Venendo al caso in esame, risulta che le comunicazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale avanti al tribunale di Livorno per il 29/06/2017, sebbene accettate dal sistema, non furono ricevute a motivo della “casella piena” del destinatario; si è perciò in presenza di una mancata consegna per causa imputabile al destinatario, il quale, evidentemente, non ha adempiuto all’obbligo di dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e di verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione, di cui all’art. 20, comma 5, d.m. n. 44 del 2011. Di conseguenza, la comunic azione si è regolarmente perfezionata mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, d.l. n. 179 del 2012.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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